Caro bollette: “estrarre più gas non abbasserà i prezzi”

28, Gen 2022 | Efficienza energetica

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Estrarre più gas fossile non risolverà il problema del caro bollette.Ulteriori trivellazioni per il gas del Mare del Nord sono una strategia irrealistica per abbassare i prezzi dell’energia”, afferma Alok Sharma presidente della Cop26 di Glasgow, in un’intervista a Sky News, in merito alla proposta di alcuni parlamentari britannici appartenenti al Gruppo “Net-Zero Scrutiny Group” che hanno chiesto al governo di aumentare l’estrazione di petrolio dal Mare del Nord, sostenendo che apporterebbe “benefici in termini di sicurezza e costi”.

Anche in Italia si punta al raddoppio delle estrazioni di gas. Mentre la crisi energetica attanaglia il Paese e l’Europa, e aleggia lo spettro dell’invasione russa dell’Ucraina con il ventilato blocco delle forniture di gas in risposta alle sanzioni europee, aumentano le voci di chi punta all’estrazione del gas come soluzione al caro bollette. Tra le proposte fatte dal Ministro Cingolani per arginare il rincaro dell’energia si è parlato infatti di aumentare l’estrazione del gas nazionale. Si tratta di 1-1,15 miliardi di investimenti che potrebbero raddoppiare le cifre dell’estrazione di gas dagli attuali 4,5 a 7-8 miliardi di metri cubi. Di questi, 4 miliardi sarebbero ottenuti con attività di manutenzione ed il resto da azioni di potenziamento di pozzi già attivi, il tutto senza destinare più quantità alle esportazioni.

Quanto gas consuma il nostro Paese e quali sono le riserve di gas nazionali?

È di oltre 72 miliardi di Sm3 (Standard metri cubi) il fabbisogno di gas dell’Italia. Ma estrarre più gas non abbasserà i prezzi. Lo affermano Greenpeace, Legambiente e WWF in una nota in cui giudicano la proposta del Ministro Cingolani di ridurre le bollette dei consumatori attraverso una maggiore estrazione di gas fossile nazionale “senza senso e logica, e davvero poco lungimirante”. Vediamo perchè. Una maggior produzione nell’ordine di 7-8 miliardi potrebbe garantire circa il 10% degli approvvigionamenti.  “Una cifra che, anche se andassimo ad estrarre tutte insieme le riserve certe di gas dal nostro territorio, ci renderebbe indipendenti per poco più di 7 mesi (agonia che si protrarrebbe fino a 15 mesi se includessimo anche tutte le riserve probabili). Senza considerare gli impatti ambientali che le estrazioni di gas comportano (come l’incremento della subsidenza ovvero del progressivo sprofondamento del fondale del bacino marino nell’area costiera dell’alto Adriatico per il quale c’è una legge -art. 8 della legge 6 agosto 2008, n. 133 che prevede il “divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia”) o i costi connessi alle attività estrattive e di distribuzione. C’è infine da considerare che comunque il prezzo del gas non lo fa il Paese in cui si estrae o chi lo estrae, in un’economia di mercato, né è detto che tutto il gas estratto andrebbe sul mercato italiano” spiegano le associazioni.

Le riserve certe di gas nel territorio italiano (fonte UNMIG), infatti, sono pari a 45,8 miliardi di Sm3 di cui il 55% si trova nel sottosuolo (perlopiù nel sud Italia) e la restante parte nei fondali marini (lungo la costa adriatica e in parte nello Ionio e nel canale di Sicilia). Attualmente vengono estratti circa 4,5 miliardi di metri cubi di gas dai pozzi esistenti ed attivi nel nostro paese. “A questo ritmo estrattivo nell’arco di 10 anni avremo finito le nostre riserve certe attualmente conosciute e si dovrebbero andare a investigare meglio quelle che attualmente sono definite “riserve probabili di gas” che ammontano a 45,9 miliardi di Sm3. Quantità, sia che si parli di riserve certe che di probabili, irrisorie rispetto all’attuale fabbisogno di gas del nostro Paese” sottolinea il WWF insieme a Legambiente e Greenpeace.

In ogni caso, questo volume non verrebbe estratto nella sua totalità e in un solo momento, ma l’estrazione verrebbe programmata in un piano di 10-15 anni circa, con una produzione media annuale tra i 5 e i 7 miliardi di metri cubi. “Questi numeri dimostrano chiaramente – spiegano Greenpeace, Legambiente e WWF   – che per intervenire sulle bollette dei nuclei familiari è necessario intraprendere strade e percorsi del tutto diversi da quelli menzionati dal Ministro Cingolani. È urgente e obbligatorio investire nelle fonti rinnovabili, non solo attraverso le comunità energetiche, ma anche nei grandi impianti. Inoltre, occorre strutturare politiche di efficienza energetica, da qui al 2030, in grado di portare tutti gli edifici, residenziali e non, a ridurre i consumi di almeno il 50%, in linea anche con le proposte europee”.

Ma l’Italia quanto dipende dall’estero per la fornitura di gas?

Ad oggi, l’Italia dipende per il 59,5% dal gas naturale utilizzato per produrre energia elettrica e il nostro Paese è il terzo importatore mondiale di gas (principalmente da Algeria e Russia).  Dai dati del ministero della Transizione ecologica, l’anno scorso abbiamo importato il 43,3 per cento del gas naturale dalla Russia, che se decidesse di mettere uno stop alle forniture di gas, ci priverebbe della metà del gas che importiamo.

L’Italia, come altri paesi europei, possiede comunque importanti scorte di gas, che potrebbero permettere al Paese di far fronte all’interruzione delle importazioni russe per qualche mese. Inoltre, l’Europa sta pensando a forniture alternative come il cosiddetto GNL, cioè lo stesso prodotto compresso, raffreddato e reso liquido, che può essere trasportato via nave e non ha bisogno dei gasdotti.

Ovviamente l’aumento dei costi sarebbe significativo. Per questo, l’Europa sta pensando di inserire il gas nella tassonomia europea, la classificazione che fornisce agli investitori informazioni su quali attività economiche sono considerate sostenibili. Così facendo innumerevoli investimenti sull’energia rinnovabile di cui l’Italia ha bisogno andrebbero invece destinati ad una fonte fossile che rappresenta oggi la principale fonte di emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di energia in Europa.

“È arrivato il momento di intaccare i sussidi ai combustibili fossili, perché altrimenti ci troviamo al paradosso di andare a toccare chi ha investito nelle rinnovabili, senza intaccare invece il mondo dei fossili che è quello che ci ha portato al disastro in cui ci troviamo. I sussidi alle fossili sono oltre i 10 miliardi di euro all’anno e devono essere urgentemente rivisti”, commenta Paolo Rocco Viscontini di Italia Solare.

“La proposta di riaprire i giacimenti nazionali è antistorica, miope e certamente non influirà sul prezzo delle bollette – sostiene l’associazione -. Il prezzo del gas in Europa si forma all’hub olandese ed è ormai condizionato dal prezzo asiatico. Il gas estratto in Italia sarebbe una goccia nel mare che automaticamente entrerebbe nel mercato e assumerebbe un valore uguale al resto del gas movimentato (centinaia di miliardi di mc/anno). Abbiamo molti dubbi che la vendita del gas nazionale si svincoli completamente dalle logiche dei prezzi di mercato internazionali a cui siamo indissolubilmente legati. Senza contare che i tempi necessari per riattivare i giacimenti sono molto lunghi, mentre molti GW di rinnovabili, fotovoltaico in testa, possono essere messi in campo in poche settimane o mesi.

“È il momento di guardare alle soluzioni concrete ed efficaci già presenti nel nostro Paese, senza andare a cercare tecnologie, come il nucleare, o soluzioni francamente inaccettabili per le tempistiche e i risvolti ambientali ed economici che hanno”, conclude il Presidente di Italia Solare.

Nel frattempo, è stata approvata in Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021 la bozza del Decreto Legge Sostegni che introduce nuovi sostegni alle attività maggiormente colpite dall’emergenza Covid e ristori per contrastare l’aumento del costo della bolletta energetica per le imprese.

Tra le misure che incidono particolarmente sulle energie green, quella dedicata agli  “extraprofitti” delle rinnovabili, per la quale gli operatori dell’energia dovranno restituire gli extraprofitti da rinnovabili, vincolando gli operatori che stanno producendo energia a restituirli guardando alla vendita dell’energia rispetto a un prezzo “equo” ante-crisi.

«Si tratta di una scelta precisa: penalizzare le rinnovabili per favorire le fossili. – ribadisce il Coordinamento FREE commentando la bozza del Decreto Ristori Ter– Non si fa menzione nel decreto, infatti, né degli extra profitti dei produttori di energia elettrica che utilizzano il gas per i quali, avendo contratti di approvvigionamento a lungo termine tuttora in vigore,  esistono precisi criteri di indicizzazione, è possibile calcolare con precisione l’extraprofitto, né dei produttori di gas che sono i veri beneficiari di questa esplosone del prezzo di mercato. Oltre a ciò si effettua un “intervento sui SAD” che in realtà è un “non intervento” visto che riguarda 100 milioni di euro su 18 miliardi e ancora una volta non c’è nulla per collegare gli sconti previsti per gli energivori a interventi efficaci per promuovere l’efficienza energetica. In queste ore ci arrivano segnalazioni circa il fatto che gli istituti finanziari stanno bloccando le linee di finanziamento agli impianti in grid parity perché il quadro generale del decreto che è assai confuso, per come è scritto, e rischia di far pagare due volte alcuni soggetti e non garantisce il quadro di stabilità necessaria allo sviluppo delle rinnovabili».

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