È decisamente un ottobre salato per le imprese del nostro Paese. Dopo una stagione di aumenti nell’energia che ha superato di gran lunga già il 20% per elettricità e gas, il 17% per i carburanti, è da poco arrivato l’aumento del 40% della bolletta energetica di cui abbiamo parlato in questo articolo e l’impennata dei prezzi di questi giorni per metano e Gpl. In tutto questo, l’importante sostegno alle energie rinnovabili promesso dal Governo è ancora fermo.
Ma questo trend al rincaro sta penalizzando la domanda e in Europa si assiste ad una riduzione dei consumi energetici che sta interessando le aziende europee come riportato in questo articolo del Sole 24 Ore.
E se di fronte ai prezzi folli di combustibili ed elettricità calano i consumi di energia ciò va a impattare sulla produttività delle imprese. I costi energetici hanno una forte importanza per cause note: energia elettrica e gas metano (quest’ultimo a sua volta utilizzato in modo ingente anche per la produzione di energia elettrica) sono indispensabili per le produzioni manifatturiere e colpiscono quindi, in modo maggiore o minore, tutte le aziende, con effetto domino sulle relazioni commerciali all’interno delle filiere e sul prezzo finale dei beni.
Nel nostro paese si scontano anche gli errori compiuti nell’incentivazione dei combustibili fossili e politiche energetico-ambientali poco lungimiranti che hanno portato ad un ancora insufficiente volume di produzione di energia pulita: errori che oggi gravano sulla promozione dell’efficienza energetica e sulla ripresa economica. Ad amplificare in Italia il problema costi anche il carico fiscale che, soprattutto per l’elettricità (e a parte le misure di mitigazione previste per quest’ultimo periodo dal governo), pesa fortemente sulla bolletta energetica delle imprese.
Così, la bolletta dell’energia elettrica delle piccole imprese italiane è diventata la più cara d’Europa. Lo denuncia un rapporto di Confartigianato che mette a fuoco i disequilibri e le penalizzazioni nel mercato energetico a danno della competitività dei piccoli imprenditori.
Le aziende artigiane e i piccoli imprenditori che consumano fino a 20 MWh (ovvero l’87,8% dei punti di prelievo del mercato elettrico non domestico) pagano il prezzo più alto dell’elettricità nell’Ue, superiore del 18,1% rispetto alla media della loro controparte europea.
Un divario che perdura da anni: dal 2008 al 2020 il maggiore costo dell’elettricità e l’aumento della bolletta pagato dalle PMI italiane rispetto a quelle degli altri paesi europei ha registrato una media del 25,5%.
È davvero necessario dunque dare impulso all’efficientamento energetico delle aziende e spazio all’ energia pulita che deriva dalle rinnovabili come il solare fotovoltaico per conseguire obiettivi significativi nella decarbonizzazione, riduzione dei gas serra, e per dare una spinta alla ripresa economica puntando sull’efficienza energetica come volano per accrescere la competitività dell’industria nazionale.
Pena il non raggiungimento degli obiettivi ambiziosi di riduzione dei gas serra per il 2030 in linea e oltre a quanto previsto dall’Unione Europea. “Stando all’attuale trend di crescita delle nuove installazioni rinnovabili in Italia, il target del Green Deal al 2030 appare irraggiungibile. Per rispettarlo dovremmo installare +7 GW di nuove rinnovabili ogni anno, riusciamo a realizzare appena 1 GW di nuovi impianti rinnovabili all’anno” ha sottolineato Elettricità Futura, la principale associazione del mondo elettrico italiano.
Le imprese elettriche italiane hanno anche ribadito come lo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia sia la chiave per mitigare gli aumenti in bolletta evidenziando come “per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili sia urgente permettere agli operatori di poter fare gli impianti nei tempi previsti dalla normativa e con un orizzonte certo e a lungo termine per i nuovi investimenti, possibilità oggi precluse dall’eccesso di burocrazia e dai vuoti normativi che hanno causato i crescenti fallimenti delle aste del DM FER”.
Che lo sviluppo delle fonti rinnovabili sia pressoché fermo e che le aste falliscano una dopo l’altra è stato denunciato questa settimana dal Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) che raccoglie più di venti Associazioni che rappresentano il settore.
«Dopo circa due anni nelle sei procedure per le fonti rinnovabili definite dal DM 4 luglio 2019, sono stati assegnati circa 3.127 MW rispetto a 5.660 previsti, poco più del 50%, su una previsione per il 2030 del PNIEC di realizzare 42 gigawatt entro il 2030, valore che verosimilmente sarà innalzato a oltre 70 GW – afferma il Presidente del Coordinamento FREE Livio de Santoli – . Ciò significa che stiamo marciando verso l’obiettivo europeo con una lentezza inaccettabile. Di questo passo raggiungeremo gli obiettivi di 42 GW nel 2048 e quelli di 70 GW nel 2065. Quali sono le cause e quali le soluzioni? Il Coordinamento FREE propone una serie di scelte radicali e coraggiose che affrontino in modo organico queste criticità».
Innanzitutto raddoppiare il contingente poiché “quello attuale non è in grado di far raggiungere al nostro Paese gli obiettivi europei”. Secondo, “individuare immediatamente le aree dove si possono realizzare gli impianti a fonte rinnovabile senza vincoli”. Terzo, “definire presto le quote minime di riduzione delle emissioni da assegnare ad ogni regione” (burden sharing). Quarto, migliorare le proposte legislative sulle semplificazioni che “allo stato appaiono blande e inefficaci, per esempio, limitare il ruolo delle Sovrintendenze alle aree di propria pertinenza e a quelle effettivamente che saranno definite non idonee.”
Per quanto riguarda il fotovoltaico , – ribadisce il Coordinamento – “occorrerà necessariamente prevedere impianti a terra, da ricondurre innanzitutto nelle aree a vocazione industriale e alle aree agricole degradate, abbandonate o comunque alle aree dichiarate inidonee alla produzione agricola, sulle quali si potrebbero pertanto sviluppare iniziative totalmente dedicate alla produzione di energia, nonché a soluzioni agrovoltaiche su aree agricole produttive.”
In particolare – ha calcolato il Coordinamento FREE – “si dovrebbero complessivamente impegnare circa 37.500 ettari che, anche nell’ipotesi fossero tutti a destinazione agricola, rappresenterebbero una percentuale molto bassa, lo 0,20%, rispetto all’attuale superficie agricola totale che in Italia è pari a 16,5 milioni di ettari, ed anche rispetto alla quota agricola della SAU (superficie agricola utilizzabile) inutilizzata, oltre 3,7 milioni di ettari, sarebbe l’1,4%.”
Infine, per portare al traguardo questi obiettivi occorre rivedere le attuali politiche di sostegno al fotovoltaico a partire dal DM FER 1. «Se il Governo afferma che ci sono tutte le condizioni per installare gli 8 GW/anno di rinnovabili che servono per centrare gli obiettivi europei al 2030 – conclude Livio de Santoli – la realtà è che a oggi ciò è impossibile per gli stop alle autorizzazioni che i provvedimenti sulla semplificazione non affrontano».