Nella terza e ultima favola che i commerciali amano raccontarsi scopriremo quanto il guardare una stessa cosa da un punto di vista diverso possa capovolgere completamente le sorti di una trattativa.
Tutta questione di prospettiva
Come sottolineato negli articoli precedenti, l’incontro con il cliente non può essere casuale e, anzi, richiede proprio un certo tipo di preparazione: studiare la sua azienda, i suoi stili di consumo, le sue aspettative ci consente di avere una marcia in più nella trattativa.
Quando incontro gli agenti della mia rete commerciale per rivedere insieme i dettagli tecnici della proposta e prepararci per presentarli al meglio al nostro (ancora potenziale) cliente, mi capita spesso di vederli davvero soddisfatti ed entusiasti nel momento in cui verifichiamo i vantaggi derivanti dall’intervento.
Gli si legge negli occhi quello che stanno pensando: “se lo proponessero a me accetterei subito.”
Nonostante questo…
“Forse non era il momento giusto”
“Magari aveva già ricevuto un’altra proposta e voleva solo un confronto”
“Secondo me non era predisposto ad ascoltarci”.
Quando quella proposta interessante si trasforma in un rifiuto da parte del cliente, è inevitabile che si cerchi una spiegazione plausibile a quello che l’agente vede come un “comportamento irrazionale” e quindi si ipotizza l’intervento di fattori esterni che non potevamo prevedere, o un mancato tempismo, oppure ancora si addossa la colpa alla concorrenza.
Vi svelo un segreto.
La spiegazione di questo insuccesso è molto più semplice e, soprattutto, molto più prevedibile di quanto si possa pensare:
“Il nostro punto di vista è diverso da quello dei nostri clienti”
Una proposta “interessante” diventa agli occhi del commerciale una forte ipoteca sulla buona riuscita della trattativa.
Eppure non è raro che anche le più rosee aspettative vengano disattese trasformandosi in inaspettati KO che la forza vendita accetta malvolentieri e soprattutto non riesce a spiegarsi.
Anatomia di un (in)successo
Anche in questo caso preferisco sottoporvi un caso pratico, raccontandovi un episodio avvenuto qualche anno fa quando, in affiancamento con uno dei miei agenti, sono andato a sottoporre una proposta per un intervento di efficienza energetica a un nostro potenziale cliente.
Il cliente in questione era un imprenditore del centro-sud con una bella realtà alle spalle, attiva nella produzione di prodotti in plastica realizzati con un processo di stampa a caldo che comportava un importante consumo di energia elettrica. L’elevato numero di linee produttive, unito a un’attività suddivisa in tre turni, faceva registrare un consumo annuo di energia di circa 8 MILIONI di kWh l’anno, con una conseguente spesa di oltre 1 MILIONE di Euro.
La soluzione di efficienza perfetta per un’azienda con queste caratteristiche era un impianto fotovoltaico della potenza di 500 kW che, tra il risparmio generato dall’autoconsumo dell’energia prodotta (e non più prelevata dalla rete) e la valorizzazione economica delle eccedenze immesse in rete, avrebbe comportato vantaggi economici di circa 90.000 Euro ogni anno.
Considerando anche i prezzi relativamente bassi degli impianti fotovoltaici dell’epoca, un simile intervento presentava un tempo di ritorno di circa 5 anni, senza contare i benefici fiscali connessi alla sua costruzione che avrebbero incrementato ulteriormente i vantaggi economici per il cliente.
Insomma, tecnicamente l’intervento proposto era un vero e proprio affare.
Convinti di avere un poker d’assi del genere nelle mani, l’agente commerciale ed io siamo andati a presentare la proposta personalizzata al cliente, più che fiduciosi rispetto ad una conclusione positiva della trattativa.
Del resto, con dei numeri così, cosa sarebbe potuto andare storto?
Beh, qualcosa in effetti è andato storto… perché il cliente, dopo averci pazientemente ascoltato, ha clamorosamente declinato la nostra proposta.
È stata una doccia fredda, vi assicuro.
Sembrava tutto perfetto e invece avevamo evidentemente tralasciato qualcosa.
Ma cosa?
Abbiamo ricontattato l’imprenditore per chiedergli quali fossero i motivi alla base del suo rifiuto.
La risposta era sotto i nostri occhi, ma non eravamo stati in grado di guardarla.
Per il nostro imprenditore quella che noi avevamo valutato come “una proposta che non poteva rifiutare” era invece troppo poco vantaggiosa, presentando un risparmio al di sotto delle sua attese (9% dei costi complessivi) a fronte di un investimento che avrebbe comportato un tempo di ritorno superiore a quello previsto dalla prassi aziendale (tempo di ritorno al massimo di 3 anni per gli investimenti in beni strumentali).
Per questo la proposta formulata era ben lontana dal potersi considerare anche solo valutabile.
Fine della storia.
La morale
Uno stesso evento guardato da punti di vista diversi genera prospettive e valutazioni completamente differenti.
In una trattativa commerciale non basta prestare la massima attenzione ed essere predisposti all’ascolto del nostro interlocutore, ma dobbiamo necessariamente mettere in campo anche la capacità di valutare le cose da una diversa angolazione rispetto a quella da cui noi venditori guardiamo, imparando ad osservare la nostra attività con gli occhi del cliente.
Sarà banale, ma questo è un altro lampante esempio di quanto lo studio del nostro potenziale cliente sia fondamentale per la buona riuscita di una trattativa, uno studio che non si ferma solo alle caratteristiche tecniche del caso (da cui, certo, non possiamo prescindere) ma che comprende anche l’analisi delle reali esigenze e aspettative del nostro interlocutore.
Tornando al nostro caso pratico, se fossimo stati più attenti nella fase precedente la presentazione, avremmo certamente costruito una proposta più adatta a soddisfare le esigenze del nostro cliente… o quantomeno, qualora non fosse stato possibile, avremmo sicuramente risparmiato tempo ed energie.