Il ricorso alle rinnovabili è la soluzione alla crisi energetica in corso ribadisce la categoria in seguito all’invasione russa dello stato ucraino. Il conflitto tra Russia e Ucraina ha scatenato l’allarme per un’eventuale interruzione delle forniture di gas da Mosca, ma: la grave crisi energetica va risolta – sostiene Elettricità Futura – con 60 GW di rinnovabili autorizzate entro giugno 2022.
La forte domanda europea di gas degli ultimi mesi, anche causata dalla scarsa produzione di elettricità da fonti rinnovabili dell’estate scorsa, ha permesso a Putin di avere una potentissima arma di ricatto nei confronti dei Paesi europei: la possibilità di interrompere la fornitura di gas naturale e bloccare così l’intera economia continentale.
Ma con la transizione energetica ci si sottrae al ricatto russo. In una conferenza stampa a Milano, Elettricità Futura (EF) ha chiesto al Governo Draghi di «autorizzare entro giugno, con procedure da “stato di emergenza”, 60 GW (GigaWatt) di progetti rinnovabili, che le aziende del settore sono pronte a realizzare in tre anni, eventualità che permette di ridurre la domanda di gas di 15 miliardi di mc/anno e il costo delle bollette del 40%».
60 GW per risparmiare il 20% del gas importato
Elettricità Futura propone quindi di installare in tre anni tanti impianti rinnovabili quanto il ministro Cingolani ha pianificato di realizzare in otto anni, entro il 2030. Il presidente di EF Agostino Re Rebaudengo ha spiegato che i 60 GW, tra eolico e fotovoltaico «da realizzare al ritmo di circa 20 GW all’anno sembrano tantissimi rispetto all’1 GW all’anno che la burocrazia ci consente oggi, ma in realtà non lo sono, si potrebbe fare molto di più». Il settore elettrico è pronto a investire 85 miliardi di euro nei prossimi 3 anni per installare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili e creare 80.000 nuovi posti di lavoro, dando un grande slancio all’economia italiana.
In una nota EF sottolinea come installare 60 GW di rinnovabili nei prossimi 3 anni sia la soluzione strutturale per aumentare la sicurezza e l’indipendenza energetica, e ridurre drasticamente la bolletta elettrica. «60 GW di nuovi impianti rinnovabili faranno risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del gas importato. O, in altri termini, oltre 7 volte rispetto a quanto il Governo stima di ottenere con l’aumento dell’estrazione di gas nazionale», ha sottolineato Agostino Re Rebaudengo.
Continuano a essere un problema i tempi di autorizzazione per i nuovi impianti, come ben illustrato nell’ultimo report di Legambiente “Scacco matto alle fonti rinnovabili”.
Nicola Lanzetta, direttore Enel Italia ha aggiunto: «dobbiamo affrontare questo momento come uno stato di emergenza, con leggi straordinarie come fu fatto vent’anni fa al tempo della cosiddetta legge “sblocca-centrali”» e approvare i progetti di impianti rinnovabili già pronti entro il prossimo giugno. La legge “slocca-centrali” è dell’aprile 2002 con misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale.
Un ulteriore significativo contributo alla riduzione del consumo italiano di gas dell’ultimo periodo deriverà dall’efficientamento energetico degli edifici realizzato con il Superbonus 110%.
Con la transizione energetica del Paese è quindi possibile disinnescare un possibile futuro ricatto della Russia o di un altro paese fornitore di gas.
I decreti Ucraina
Il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto nei giorni scorsi un’informativa urgente in Parlamento sull’invasione russa in Ucraina, dove ha ricostruito quanto dipende il nostro Paese dalle importazioni del gas russo.
Il Consiglio dei Ministri si è poi riunito lunedì 28 febbraio 2022 ed ha autorizzato – si legge in una nota- di Palazzo Chigi- l’anticipo, anche a scopo preventivo, dell’adozione delle misure di aumento dell’offerta e/o riduzione della domanda di gas previste in casi di emergenza.
La norma rende immediatamente attuabile, se fosse necessario, la riduzione del consumo di gas delle centrali elettriche oggi attive, attraverso la massimizzazione della produzione da altre fonti (i.e. fossili) e fermo restando il contributo delle energie rinnovabili.
Ieri pomeriggio, 1 marzo, il governo ha approvato il secondo decreto Ucraina, in bozza “Previo atto di indirizzo del Parlamento”: con “Ulteriori misure urgenti sulla crisi in Ucraina”, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, potrà adottare misure “finalizzate all’aumento della disponibilità di gas e alla riduzione programmata dei consumi di gas previste dal Piano, “a prescindere dalla dichiarazione del livello di emergenza”. La bozza di decreto prevede inoltre che, in caso di azionamenti del consumo di gas “nel settore termoelettrico”, Terna dovrà stabilire “un programma di massimizzazione dell’impiego degli impianti di generazione di energia elettrica con potenza termica nominale superiore a 300 MW che utilizzino carbone o olio combustibile in condizioni di regolare esercizio, per il periodo stimato di durata dell’emergenza”. Agli impianti verranno applicati limiti “di emissione nell’atmosfera e le regole sulla qualità dei combustibili previsti dalla normativa eurounitaria, in deroga a più restrittivi limiti eventualmente prescritti a livello nazionale” ovvero meno restrittivi di quelli nazionali.
La domanda di gas italiano
L’Italia, producendo quasi la metà (47,7%) dell’energia elettrica utilizzando il gas, contro il 16,7% in Germania e il 6,6% in Francia, è maggiormente danneggiata nello scenario attuale.
Il metanodotto che collega, attraversando l’Ucraina, i giacimenti russi al Sud Europa e l’Italia a Tarvisio rifornisce più del 40% del fabbisogno italiano di metano.
«Circa il 45 per cento del gas che importiamo proviene infatti dalla Russia, in aumento dal 27 per cento di dieci anni fa» ha spiegato Draghi. Nel 2011 corrispondeva infatti al 28,1 per cento del totale, dietro al 32,6 per cento dell’Algeria, scivolata in seconda posizione.
Secondo i dati più aggiornati del Ministero della Transizione ecologica, nel 2020 l’Italia ha importato dalla Russia oltre 28,7 miliardi di metri cubi di gas naturale, il 43,3 per cento sui quasi 66,4 miliardi di metri cubi di gas importato, percentuale leggermente più bassa di quella indicata da Draghi.
Abbiamo a disposizione anche i dati preliminari del 2021, secondo cui l’anno scorso circa 29 miliardi di metri cubi di gas sono arrivati in Italia a Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia. Stiamo parlando di circa il 40 per cento dei 72,7 miliardi di metri cubi di gas importati nel 2021.
È di oltre 75 miliardi di Sm3 (Standard metri cubi) il fabbisogno di gas dell’Italia. Ma, come già scritto nel nostro approfondimento di qualche settimana fa, estrarre più gas fossile non risolverà il problema del caro bollette come affermano Greenpeace, Legambiente e WWF in una nota in cui giudicano la proposta del Ministro Cingolani di ridurre le bollette dei consumatori attraverso una maggiore estrazione di gas fossile nazionale “senza senso e logica, e davvero poco lungimirante”.
Per ora l’Europa ha sufficiente GNL (gas naturale liquefatto). Gli arrivi bastano a coprire i cali di fornitura russi. Ma gli stoccaggi sono a livelli critici, alcuni paesi potrebbero comunque non avere gas fino alla fine dell’inverno, e un’ulteriore stretta di Mosca metterebbe l’UE con le spalle al muro.
Quanto gas produce l’Italia
«In Italia, abbiamo ridotto la produzione di gas da 17 miliardi di metri cubi all’anno nel 2000 a circa 3 miliardi di metri cubi nel 2020, a fronte di un consumo nazionale che è rimasto costante tra i 70 e i 90 miliardi circa di metri cubi» ha affermato Draghi.
Secondo i dati del Ministero dello Sviluppo economico, nel 2000 il nostro Paese produceva quasi 16,8 miliardi di metri cubi di gas, un dato arrotondato a «17 miliardi» da Draghi. Vent’anni dopo, questo dato è sceso a poco più di 4 miliardi di metri cubi. La produzione italiana di gas è salita dal 1990 fino alla metà degli anni Novanta, per poi calare costantemente, tranne una risalita tra il 2009 e il 2012.
Le riserve certe di gas nel territorio italiano (fonte UNMIG), infatti, sono pari a 45,8 miliardi di Sm3 di cui il 55% si trova nel sottosuolo (perlopiù nel sud Italia) e la restante parte nei fondali marini (lungo la costa adriatica e in parte nello Ionio e nel canale di Sicilia). Attualmente vengono estratti circa 4,5 miliardi di metri cubi di gas dai pozzi esistenti ed attivi nel nostro paese.
«Draghi parla di estrarre il gas nazionale come se avessimo riserve illimitate ma non è così. Nel DL Energia, – spiegano i co-portavoce nazionali di Europa Verde, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, in seguito all’informativa urgente del Premier Draghi sul conflitto Russia-Ucraina– il ministro Cingolani ha previsto di aumentare la produzione di gas nazionale da 3,3 miliardi di mc/anno a circa 5, incremento che equivale al 2,63% del fabbisogno nazionale, pari a 76 miliardi di metri cubi all’anno.
Secondo il MISE, l’Italia ha riserve ‘certe’ di gas, che può estrarre al 90%, per 45 miliardi di metri cubi che potrebbero soddisfare il fabbisogno nazionale solo per sette mesi. Poi ci sono le riserve ‘possibili’, pari a 44 miliardi di metri cubi che hanno una probabilità di poter essere estratte al 50%. Sommando le riserve certe e le possibili, garantiremmo complessivamente un fabbisogno per 15-16 mesi ma ovviamente ci sarebbe bisogno di anni per estrarre e utilizzare queste risorse» in un piano di 10-15 anni circa, con una produzione media annuale tra i 5 e i 7 miliardi di metri cubi.
«Questi numeri dimostrano chiaramente – spiegano Greenpeace, Legambiente e WWF – che per intervenire sulle bollette dei nuclei familiari è necessario intraprendere strade e percorsi del tutto diversi da quelli menzionati dal Ministro Cingolani. È urgente e obbligatorio investire nelle fonti rinnovabili, non solo attraverso le comunità energetiche, ma anche nei grandi impianti. Inoltre, occorre strutturare politiche di efficienza energetica, da qui al 2030, in grado di portare tutti gli edifici, residenziali e non, a ridurre i consumi di almeno il 50%, in linea anche con le proposte europee».
Le false soluzioni: gas e carbone
La soluzione falsa per compensare l’eventuale calo delle importazioni di gas dalla Russia, sottolineano in un comunicato Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia è quella del cosiddetto gas nazionale: come dimostrato in una nota tecnica del WWF sul Gas Nazionale, anche volendo sommare tutte le riserve nazionali, incluse quelle difficilmente estraibili a causa di costi economici ed energetici poco sostenibili, l’Italia avrebbe al massimo riserve di gas per 111,588 miliardi di m3.
Dal momento che il nostro paese consuma circa 75-76 miliardi di m3 /anno, anche sfruttando tutte le riserve (poco realistico) queste sarebbero in grado di coprire appena un anno e mezzo della domanda nazionale di gas. Un tema, quello della insensata corsa al gas, sviluppato anche in questo report di Legambiente.
Inoltre, il gas nazionale non sarebbe per forza destinato al mercato nazionale e non farebbe alcuna differenza dal lato dei prezzi, a meno che non si voglia nazionalizzarlo.
La soluzione inammissibile – continuano le Associazioni – è la riapertura delle centrali a carbone: l’Italia gioca non solo la sua credibilità, ma anche molte delle sue riduzioni di gas serra che deve attuare sul rispetto dell’impegno di chiudere tutte le centrali a gas entro il 2025.
La soluzione facile (forse) – ribadiscono – è quella dell’aumento delle infrastrutture per il gas: sarebbe uno spreco di risorse, immobilizzate in un combustibile fossile quando la decarbonizzazione va invece accelerata. Ma non è solo una questione ambientale: noi attualmente abbiamo infrastrutture sovradimensionate, oggi i rigassificatori che abbiamo li paghiamo in bolletta perché sono sottoutilizzati. Il MITE dovrebbe informarsi e usare al meglio le strutture esistenti prima di parlare di nuovi rigassificatori che saranno disponibili, a essere super-ottimisti, tra 5 anni. Noi oggi dobbiamo minimizzare le infrastrutture che rischiano di immobilizzare i soldi da destinare invece alla transizione energetica.
La transizione energetica non può più aspettare
La guerra tra Russia e Ucraina ha esacerbato la nostra dipendenza dalle fonti fossili. Una dipendenza che è del tutto insostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico. La transizione energetica è una soluzione ai problemi del clima e dell’energia, ma deve essere rapida.
A fronte di 61,0 miliardi di euro pagati negli ultimi cinque anni da cittadini e imprese per oneri di sistema per incentivare la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, tra il 2017 e il 2021 l’energia elettrica prodotta con il solare in Italia è cresciuta solo dell’1%.
«In tempi di guerra, – incalzano Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, – ci dimentichiamo dello stato di salute del nostro pianeta e del collasso a cui stiamo andando incontro con il cambiamento climatico essendo il metano un gas climalterante a forte emissione di CO2 e il carbone un killer della salute. Abbiamo oltre 110 GW di autorizzazioni, tra eolico e solare, che sono bloccate, mentre potremmo utilizzare gli accumuli idroelettrici che valgono 8 GW. C’è un aspetto importante dal punto di vista sociale: l’energia prodotta con le rinnovabili, – concludono Bonelli ed Evi, – costa poco e stabilmente. È stato calcolato da Elettricità Futura che, raggiungendo nel 2030 l’obiettivo del 72% di rinnovabili, si ridurrebbe la bolletta elettrica di 30 miliardi di euro».
Un’accelerazione spinta sulle rinnovabili avrebbe anche effetti occupazionali netti positivi come dimostrato dallo scenario commissionato da Greenpeace Italia.
Come osserva il think tank ECCO (che ha sviluppato delle utili FAQs sullo sviluppo del gas fossile italiano), «nel dibattito di questi mesi l’efficienza energetica e la cultura del risparmio sono completamente assenti quando invece sono le componenti essenziali e prioritarie per affrontare una crisi energetica».
Se fuori non fa troppo freddo abbassare le temperature del riscaldamento, a casa, negli edifici pubblici e in azienda, può essere un’azione immediata di risparmio dell’energia e di riduzione delle emissioni, alla portata di tutti.