L’approvazione della norma “sblocca trivelle” del Decreto Aiuti che autorizza la ricerca e il prelievo di gas da nuovi giacimenti di idrocarburi (metano) in mare per aumentare la produzione nazionale di gas “non è la soluzione alla crisi energetica” e al caro energia. “L’annunciato emendamento sblocca trivelle del Governo sembra avere l’unico scopo di perpetuare e rilanciare la presenza e l’attività delle piattaforme offshore di estrazione degli idrocarburi scardinando gli attuali vincoli normativi a tutela dell’ambiente, delle popolazioni costiere e dell’economia del mare, che vietano le trivellazioni nell’Alto Adriatico (a causa del rischio subsidenza) e, lungo tutte le nostre coste, nell’area offlimits delle 12 miglia marine dal perimetro esterno delle aree protette e dalle linee di costa”.
Lo sostengono Greenpeace Italia, Legambiente e WWF che osservano come l’annunciato emendamento al “decreto aiuti” -se confermato- “sia nella sostanza un regalo alle industrie petrolifere estrattive, in primis all’ENI, mentre il vantaggio per le industrie energivore, annunciato dal Governo, appare essere del tutto marginale e sulla strada sbagliata rispetto agli impegni per la decarbonizzazione dell’economia assunti dall’Italia su scala globale dato che favorisce la fornitura e l’uso di una fonte fossile come il gas a prezzi agevolati.”
L’Italia è il sesto più grande finanziatore di combustibili fossili al mondo
Del resto, una nuova ricerca pubblicata a inizio novembre da Oil Change International e Friends of the Earth US, a cui hanno collaborato Legambiente e ReCommon, ha rivelato che l’Italia è il sesto maggior fornitore di finanza pubblica internazionale per combustibili fossili a livello globale, piazzandosi davanti ad Arabia Saudita e Russia, che si trovano rispettivamente all’8° e 9° posto. Il nostro Paese, ha fornito tra il 2019 e il 2021, 2,8 miliardi di dollari all’anno in finanza pubblica per i combustibili fossili, più di Arabia Saudita e Russia. Solo il 3,5% dei finanziamenti internazionali del nostro Paese in tema di energia va alle rinnovabili: si tratta di una media annua di 112 milioni di dollari tra il 2019 e il 2022. Ciò significa che su un totale di 3,2 miliardi di dollari per il finanziamento dell’energia, l’89,8% è andato ai combustibili fossili e il 3,5% è andato all’energia pulita (215 milioni di dollari, ossia il 6,7%, sono andati ad altre voci non meglio definite).
C’è poi da notare, aggiungono gli ambientalisti, che il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee – PITESAI, elaborato dal Ministero della Transizione Ecologica approvato nel settembre 2021 e sottoposto alla Conferenza Stato-Regioni nel dicembre 2021, riconosce e ribadisce i vincoli e non si trova traccia di quanto annunciato in questi giorni dal Governo sulla possibilità di riammettere a produrre le concessioni esistenti in Alto Adriatico e di prevedere il rilascio di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia.
Nel testo dell’emendamento c’è scritto infatti che «è consentito il rilascio di nuove concessioni di estrazione gas in zone di mare poste fra le 9 e le 12 miglia (attuale limite, poco più di 19 Km) dalle linee di costa limitatamente ai siti aventi un potenziale certo di gas superiore a 500 milioni di metri cubi». In particolare si parla «del tratto di mare compreso tra il 45mo parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po». Una porzione di mare al largo di Rovigo a poca distanza dalla laguna di Venezia, attualmente interdetta alle trivellazioni per rischio subsidenza (articolo 8, legge 6 agosto 2008. n. 133).
Infine, osservano gli ambientalisti, le motivazioni alla base della decretazione d’urgenza relative alla sicurezza degli approvvigionamenti sono inconsistenti dato che secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), il fabbisogno annuale di gas in Italia si aggira attorno ai 76 miliardi di metri cubi e che la produzione annuale di gas nazionale nel 2021 ammontava appena a 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale, e, secondo le stime del governo, l’incremento atteso con l’emendamento sblocca trivelle è di 15 miliardi di metri cubi in 10 anni, cioè 1,5 miliardi di metri cubi l’anno, che sarebbero equivalenti solo all’1,9% del fabbisogno nazionale.
Peraltro secondo l’ultimo rapporto ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, che ha confrontato gli andamenti dei consumi di gas per riscaldamento, a parità non di data ma di temperature registrate nello stesso periodo, tra il 1° novembre e il 6 dicembre degli ultimi quattro anni (tra il 2019 e il 2022), nel periodo che va “dal 1° novembre al 6 dicembre, la curva dei consumi di gas per riscaldamento del 2022 resta sempre significativamente più bassa rispetto a quella dei tre anni precedenti”, con un decremento dei consumi di gas pari a circa 15 milioni di metri cubi al giorno in meno a parità di temperatura, che equivale a un risparmio di oltre il 10% sui consumi medi giornalieri. Sembra dunque che gi italiani abbiano ascoltato le raccomandazioni del Governo di abbassare le temperature del riscaldamento, almeno finora.
La nuova disposizione “sblocca-trivelle” del Decreto “Aiuti quater” potrà subire eventuali modifiche in sede di conversione in legge, che dovrà avvenire entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore (19 novembre la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) , dunque entro il 18 gennaio 2023.
Quanto gas c’é nel sottosuolo italiano?
Le riserve di gas naturale vengono classificate dall’ex Ministero Transizione Energetica MITE come:
- certe: quelle che possono essere estratte con una probabilità maggiore del 90%
- probabili: indicano una probabilità di estrazione del 50% circa e sono mediamente difficili da recuperare
- possibili: la probabilità di estrarle è molto inferiore al 50%, il che rende il processo di recupero molto costoso e complicato
Il totale stimato, somma delle tre categorie, è di 110 miliardi di metri cubi, quelle certe e probabili ammontano a circa 70 miliardi.
Nell’eventualità, irrealizzabile, di estrarlo al ritmo del consumo, le riserve basterebbero per poco più di un anno.
Quanto gas viene estratto in Italia?
Attualmente si contano 1298 pozzi estrattivi: di questi 514 sono abitualmente produttivi e utilizzati per l’estrazione mentre 752 sono solo formalmente attivi ma non eroganti. La maggior parte dei pozzi classificati produttivi non eroganti sono giacimenti esausti che, per evitare i costi della chiusura mineraria, mantengono la dicitura produttivo.
I “grandi pozzi” della pianura Padana, quelli con i quali Enrico Mattei negli anni ’50 lanciò la metanizzazione del Paese, si sono esauriti nel corso degli anni ’70.
Nella cartina dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono riportati in nero i pozzi non produttivi, in rosso quelli di gas naturale produttivi (eroganti e non) e in verde quelli di petrolio.
Come si può notare i pozzi, tutti separati tra loro, sono spazialmente distribuiti lungo tutta la lunghezza della penisola.
Nel 2021 si sono estratti 3,3 miliardi di metri cubi di gas naturale; la zona d’Italia in cui se ne estrae più è la Basilicata con 1miliardo di metri cubi anno.
Potremmo aprire dei pozzi nel giro di un mese?
Se è vero che in alcuni rari casi dei pozzi possono essere messi in produzione entro un paio di mesi, ci vorranno almeno un paio di anni per superare tutto l’iter legislativo richiesto. La stessa norma “Sblocca trivelle” del Governo prevede la «presentazione di analisi tecnico-scientifiche e programmi dettagliati di monitoraggio e verifica dell’assenza di effetti significativi di subsidenza sulle linee di costa da condurre sotto il controllo del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica» le cui elaborazioni richiedono parecchio tempo.
Le rinnovabili dimenticate
Ritornando alle critiche delle associazioni ambientaliste, aumentare le trivellazioni in mare significa aggravare la crisi climatica – sostengono in una nota – che la stessa Presidente Meloni ha pienamente riconosciuto e si è impegnata a combattere nel suo discorso di apertura della COP27 a Sharm el-Sheik. Riaprire alle trivellazioni in mare, sottolineano gli ambientalisti, significa continuare con lo stesso identico modello energetico che ha prodotto la crisi energetica e climatica e che ha comportato già più insicurezza, sofferenze e perdite economiche per cittadine e cittadini del nostro Paese. La transizione energetica, basata sulle fonti rinnovabili e il risparmio e l’efficienza energetica, sviluppo tecnologico e creazione di nuovi posti lavoro offre, invece, il set di soluzioni necessarie per superare l’attuale situazione di crisi.
Resta da notare infatti la totale assenza di un confronto costi-benefici con alternative possibili come, ad esempio, l’immediato pari investimento per sviluppare energie alternative rinnovabili, le sole che possano garantire strutturalmente una reale maggiore sostanziale autonomia energetica ed economica.
“Nel 2022 verranno realmente terminati e allacciati alla rete circa 3 GW, di cui probabilmente solo 1,5 GW di quelli che hanno ricevuto l’autorizzazione VIA – VAS nazionale” ha dichiarato Agostino Re Rebaudengo, Presidente Elettricità Futura, in un articolo su Repubblica che spiega come su 300 GW di richieste fatte quest’anno per eolico e solare solo 3 siano stati appunto attivati a cause degli ostacoli e della lentezza dei meccanismi autorizzativi.
In merito all’accelerazione dei lavori della Commissione VIA – VAS, Agostino Re Rebaudengo ha spiegato che “è necessario che anche gli altri enti territoriali accelerino il rilascio delle autorizzazioni di loro competenza affinché si possano concretizzare i benefici di aumentare la produzione di energia elettrica sostenibile e a basso prezzo”.
“Siamo certi- commentano le associazioni- della sincera volontà della Presidente del Consiglio Meloni di tener fede agli impegni recentemente presi occasione della COP27. Ma per abbattere le emissioni climalteranti non abbiamo bisogno di nuove trivelle ma di un nuovo Piano nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC), che tenga conto dei nuovi target europei (REPowerEU), e dell’approvazione di una legge sul clima su cui basare le urgenti scelte politiche che sia capace di creare un confronto con la comunità scientifica”.
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