Disaccoppiamento gas – elettricità: “Separare i prezzi delle rinnovabili dai fossili è necessario”

23, Set 2022 | Efficienza energetica, NEWS DAL MONDO SUNCITY

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Il disaccoppiamento tra prezzi del gas e prezzi dell’elettricità potrebbe ridurre il costo dell’elettricità, è necessario però investire sulle fonti rinnovabili. «Per mitigare l’impatto in bolletta delle quotazioni stratosferiche del gas, il Governo ha introdotto un’imposta arbitraria di breve termine alle fonti rinnovabili, il cui costo marginale nullo è stato considerato dal Governo una forma d’improprio arricchimento – afferma Francesco Ferrante, vicepresidente del Coordinamento FREE – con un segnale fortemente negativo agli investitori nelle rinnovabili in un momento drammatico del mondo dell’energia. Esattamente l’opposto di cui il settore ha bisogno. Una soluzione alternativa c’è e consente d’introdurre il decoupling, la separazione, tra produzione elettrica rinnovabile e quella con cicli combinati. Invece di imporre un prelievo forzoso sul profitto derivante dalla vendita della produzione rinnovabile sul mercato, perché non offrire ai produttori di scambiarla con contratti che garantiscano la stabilità di prezzo a lungo termine, perfezionando la proposta fatta su Staffetta Quotidiana, da Giuseppe Artizzu lo scorso gennaio e che è rimasta inascoltata?».

Che cos’è il disaccoppiamento tra prezzi del gas e prezzi dell’elettricità

Negli ultimi mesi il tema energia è stato al centro del dibattito politico, anche grazie ad una incessante campagna mediatica sul tema dei rincari in bolletta e a importanti dinamiche speculative, alimentate dall’aumento dei prezzi di acquisto del gas fossile sui mercati internazionali messi in opera dagli oligopoli delle fonti fossili.

Fino a non molto tempo fa, i combustibili fossili erano più economici e di conseguenza anche l’elettricità ottenuta attraverso queste fonti non era eccessivamente onerosa. Anzi, questo sistema serviva proprio per non penalizzare le rinnovabili in una fase in cui erano una fonte marginale. Oggi la situazione si è invertita. Con il gas russo che ha raggiunto il record dei 300 euro al Mwh, tutta l’elettricità finisce per essere venduta a un prezzo molto più alto del suo reale costo. Compresa quella prodotta da altre fonti. Così si è giunti all’idea di dividere i due mercati, di fare cioè in modo che il prezzo del gas non influisca massicciamente su quello dell’energia elettrica.

Il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità privilegerebbe le fonti alternative come quelle rinnovabili e il nucleare. Il che comporterebbe inoltre che l’Italia investa di più su impianti fotovoltaici, eolici e altre soluzioni a basso impatto ambientale.

«Se oggi i produttori di energia beneficiano in questo periodo di prezzi all’ingrosso alti, è anche vero che due anni fa la situazione era opposta prosegue Ferrante -, con prezzi medi annui fra i 30 e i 40 €/MWh in tutta Europa dopo i cali abissali durante la prima ondata del Covid. Questa volatilità di prezzo è il terzo peggior nemico (dopo l’instabilità politica e la paralisi autorizzativa) degli investimenti in fonti rinnovabili essenziali alla transizione energetica. I produttori potrebbero pertanto scegliere di rinunciare a prezzi molto elevati di breve termine in cambio di contratti di medio-lungo termine, con prezzi ragionevolmente remunerativi e che tengano conto dei recenti forti aumenti dei costi di tutte le materie prime, ma stabili, applicando gli stessi criteri a due vie che oggi si usano con il DM FER in modo da lasciare inalterato il mercato elettrico (prevedendo quindi il ritiro dell’energia da parte del GSE come un’opzione e non come un obbligo). Di fatto, si tratta di realizzare in termini più ambiziosi (contratti a dieci, venti e trent’anni) quanto già previsto dall’articolo 16 bis: della legge n.34/2022, che afferma: “Al fine di garantire la piena integrazione e remunerazione di medio termine degli investimenti in fonti rinnovabili nel mercato elettrico […] il GSE offre un servizio di ritiro e di acquisto di energia elettrica da fonti rinnovabili prodotta da impianti stabiliti nel territorio nazionale, mediante la stipulazione di contratti di lungo termine di durata pari ad almeno tre anni”. Ma con una differenza. L’articolo 16 bis introduce come opzione volontaria a sé stante la proposta, noi proponiamo di porla come alternativa alla tassa sui presunti extraprofitti, e per un periodo più lungo dei tre anni previsti».

«Questa soluzione, senza grandi e complessi interventi normativi, anticiperebbe già con l’attuale produzione rinnovabile la creazione di una quota di mercato alternativo a quello spot, fruibile sia da imprese sia da consumatori domestici – sottolinea Ferrante -. Si tratta di una quota destinata a crescere automaticamente con la progressiva realizzazione di nuovi impianti rinnovabili e del repowering e retrofitting di impianti esistenti, la cui bancabilità sarà per lo più resa possibile soltanto dalla partecipazione ad aste competitive o dalla stipula di PPA, diventando in un numero limitato di anni la produzione dominante (nel 2030 almeno 70% del mix produttivo secondo Fitfor55, almeno 80% secondo REpowerEU) e rappresentando quindi il benchmark anche per la residua produzione con cicli combinati. Una volta definita la tariffa dei PPA per le singole tecnologie sulla base dei costi delle stesse, tali contratti a lungo termine devono consentire un accesso diretto tramite il GSE all’ottenimento di quella tariffa, senza passare in questi casi per aste competitive avendo già definito un prezzo amministrato, almeno fino a quando non sarà terminata questa fase emergenziale».

Uscire dalla dipendenza dal gas 

A tal proposito Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia hanno avanzato negli scorsi mesi 10 proposte al governo Draghi per affrontare in modo strutturale la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del gas, riducendone fortemente i consumi di 36 miliardi di m3 all’anno a fine 2026, e sviluppando al massimo l’eolico offshore e a terra, il fotovoltaico sui tetti e sulle aree compromesse (discariche, cave, etc), il moderno agrovoltaico che garantisce l’integrazione delle produzioni agricole con quella energetica, la produzione del biometano, gli accumuli, i pompaggi e l’ammodernamento delle reti.

“Pensare di riattivare gruppi termoelettrici a carbone o a olio combustibile è un’opzione irrilevante: se pure ripartissero 1.000 MW di potenza installata, aggiuntivi a quelli già in attività, con questi due combustibili fossili, ad esempio per 5mila ore all’anno, si potrebbero produrre 5 TWh all’anno che nei fatti permetterebbero di risparmiare solo 1 miliardo di m3 di gas fossile all’anno. Praticamente nulla al confronto del contributo strutturale e rispettoso degli obiettivi climatici e di lotta all’inquinamento atmosferico che garantirebbe uno sviluppo fragoroso delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, del sistema di pompaggi e accumuli e della rete di trasmissione e distribuzione” scrive in una nota Legambiente.

L’esplosione della drammatica guerra in Ucraina ci obbliga ad accelerare ulteriormente la transizione energetica del Paese come unica soluzione per uscire dalla dipendenza dal gas, a partire da quello della Russia.

Ma se da un lato una campagna educativa sull’efficienza energetica si sarebbe dovuta fare da anni, già in tempo di pace, dobbiamo notare che il Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale” presentato dal ministro Cingolani ci sembra un compitino fatto da uno scolaretto prima dell’entrata in classe con la speranza di prendere la sufficienza.afferma il vicepresidente del Coordinamento FREE, Francesco Ferrante – Che l’efficienza energetica comportamentale possa valere l’8% dei consumi energetici individuali è cosa nota che è oggetto delle campagne d’educazione ambientale da anni».

«Dal ministro della Transizione Ecologica ci saremmo aspettati di più. – prosegue Ferrante – Dove sono gli interventi strutturali d’efficientamento per l’industria? E la riforma dei Tee (Titoli d’efficienza energetica) che attendiamo inutilmente da anni? – domanda Ferrante – Le risposte non ci sono nel documento dove la parte del leone la fa la “diversificazione” della provenienza del gas, la massimizzazione nell’uso di carbone e combustibili fossili, nell’incremento dell’estrazione di gas naturale dai nostri scarsi giacimenti e l’abbassamento dei riscaldamenti. Le rinnovabili poco pervenute, se non con un capitolo dedicato al biogas. Uno sviluppo che è già in essere da parte delle aziende produttrici. L’impressione è quella di un governo colpevolmente impreparato, visto che siamo al settimo mese di guerra e al dodicesimo di rincaro del gas, che ha adottato la strategia del “io speriamo che me la cavo”. Se la situazione non fosse tragica il “piano Cingolani” potrebbe ambire a entrare nel repertorio di un comico ma susciterebbe al massimo risate di sufficienza».

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